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JULIETA

di Luca Bovio

julietaJulieta, ultima fatica di Pedro Almodóvar, adattamento di tre racconti della scrittrice Alice Munro, è la storia di una donna che convive con il dolore della sparizione della figlia; un incontro fortuito la spinge a fare i conti con il proprio passato. Il film si apre su di un tessuto rosso che, nelle sue pieghe e nei suoi movimenti, ricorda un cuore umano. Le inquadrature seguenti ci mostrano come si tratti di un vestito indossato dalla protagonista, la Julieta del titolo. Il regista sembra così dichiarare fin dal principio qual’è l’argomento del film, ovverosia il cuore della protagonista, inteso come asilo dei suoi sentimenti. Almodóvar qui ritorna al suo cinema di donne, in cui gli uomini risultano marginali o addirittura assenti. Il tema intorno al quale si coagula tutto il sentimento che anima la pellicola è il dolore. Il dolore della perdita, dell’abbandono, della solitudine e del senso di colpa che consuma tutto il resto, non lascia scampo e riduce chi lo prova a un guscio vuoto. Tutto questo dolore che la protagonista prova riempie il film dall’inizio alla fine, con solo qualche breve parentesi di felicità. Il regista spagnolo ci mostra una vita di sofferenza emotiva che ammanta tutto ciò che la circonda di una cappa opprimente, “contagiando” anche chi vi si trovi vicino. Tuttavia il titolo di lavorazione Silencio (Silenzio) ci suggerisce come non si tratti di un dolore apertamente manifestato, ma sopportato in silenzio, nel proprio intimo. Tanto forte però da diffondersi “come un virus”, proprio come scrive Julieta nella sua lettera alla figlia Antía che non vede da tredici anni. Un dolore capace di cambiare radicalmente le persone. Elemento ravvisabile nel fatto che il personaggio di Julieta sia interpretato da due attrici diverse, Adriana Ugarte nella gioventù e Emma Suárez nella maturità. Almodóvar non emette giudizi in maniera esplicita, ci mostra quali sono le conseguenze di lasciarsi sopraffare passivamente dal dolore.

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